‘E’ un peccato che l’imperfezione sia chiamata difetto’ ha detto il Maestro Maurizio Galimberti, sottolineando, quindi, l’accezione negativa del termine. Nella sua poetica artistica, l’imperfezione è precisamente l’ingrediente necessario per costruire bellezza.
Il progetto di Galimberti è un invito ad osservare il mondo tramite la lente del fotografo che assorbe la realtà circostante e la restituisce in maniera anticonvenzionale. Durante una settimana di aprile, un gruppo di ospiti selezionati dal Jumeirah Capri Palace, ha partecipato a una pratica artistica di Galimberti, facendosi soggetto delle sue fotografie. Nei nuovi ambienti progettati dall’architetto Patricia Urquiola, che hanno funto da scenografia per le opere, si è creato un dialogo aperto e attivo tra artista e fruitori / protagonisti delle fotografie. Ognuno, con la propria personalità e caratteri estetici, ha caratterizzato le immagini offrendo al fotografo una possibilità di lettura dell’essere umano sempre diversa.
L’ambientazione dalle luci soffuse e il silenzio quasi sacrale durante la pratica artistica, hanno reso il processo denso di significato quanto il risultato finale: una performance dal sapore rituale ha permesso al maestro di entrare in empatia con i soggetti e creare narrazioni che ‘sfondano’ il senso bidimensionale della fotografia stampata.
Lo strumento prediletto dal maestro per creare le ‘poesie visive’ è la Polaroid, sia per l'immediatezza e la verifica del risultato sia per la possibilità di "manipolare" in post produzione la copia ottenuta. Sarà infatti proprio con la Polaroid che esprimerà una tecnica personale che avrà come risultato finale un vero e proprio mosaico fotografico. La Polaroid viene utilizzata per scomporre e ricomporre l'immagine in mosaici ricreando il soggetto fotografato, reinterpretandolo. La decostruzione dell’immagine in diverse prospettive rievoca uno stile picassiano, ma ancor di più c’è un’eco futurista nelle opere di Galimberti, che sono fotografie statiche ma intrise di un profondo dinamismo e senso di moto.
‘Niente c’è più da inventare, c’è solo da reinterpretare e osservare con un punto di vista personale’, afferma Galimberti, fedela alle teorie di Duchamp. Il fotografo sembra infatti ‘usare’ la realtà come soggetto già pronto per le sue opere, costruendo un ‘ready-made contemporaneo’.
Nella poetica di Galimberti la fotografia è un modo per dire la verità, nel senso etimologico del termine greco, aletheia, che significa ‘togliere il velo’ e tirare fuori l’anima del soggetto.